venerdì 27 gennaio 2017

La profezia di Carl Sagan

Carl Sagan, 1934-1996
«Immagino a volte un possibile scenario per l’America del futuro, quando i miei figli o i miei nipotini saranno grandi; vedo gli Stati Uniti come un’economia di servizi e d’informazione; immagino che quasi tutte le più importanti industrie manifatturiere siano passate ad altri Paesi; vedo imponenti potenze tecnologiche nelle mani di pochissime persone, e nessun rappresentante del potere pubblico in grado neppure di comprendere i problemi; vedo le persone incapaci di proporsi programmi autonomi e di rivolgere domande in modo competente al potere; immagino che, diventati incapaci di distinguere fra ciò che ci sembra buono e ciò che ci sembra vero, ci aggrapperemo solo alle nostre sfere di cristallo e consulteremo nervosamente i nostri oroscopi, e in conseguenza della decadenza delle nostre facoltà critiche torneremo a scivolare, quasi senza rendercene conto, nella superstizione e nell'oscurantismo».

[ Carl Sagan, 1995, Il mondo infestato dai demoni - La Scienza e il nuovo oscurantismo ]

Il muro

C'era un muro. Non pareva importante. Era fatto di ciottoli uniti senza pretese, con un po' di malta. Gli adulti potevano guardare senza sforzo al di là del muro, e anche i bambini non avevano difficoltà di scavalcarlo. Dove incontrava la strada, invece di avere un cancello degenerava in una pura geometria, una linea, un'idea di confine. Ma l'idea era reale. E importante. Da sette generazioni non c'era nulla di più importante, al mondo, di quel muro.
Come ogni altro muro, anch'esso era ambiguo, bifronte. Quel che stava al suo interno e quel che stava al suo esterno dipendevano dal lato da cui lo si osservava.
Osservato da un lato, il muro recingeva un campo spoglio, di una sessantina di acri, chiamato Porto di Anarres. Il campo comprendeva un paio di grosse gru, una piazzola di atterraggio per í razzi, tre magazzeni, una rimessa per gli autocarri e un dormitorio. Il dormitorio aveva un aspetto duraturo, severo, melanconico. Non si vedevano giardini, né bambini: era chiaro che non vi abitava nessuno, che chi arrivava non si fermava a lungo. In effetti si trattava di una zona di quarantena. Il muro chiudeva al suo interno non soltanto il campo di atterraggio, ma anche le navi che scendevano dallo spazio, gli uomini che giungevano con le navi, i mondi da cui provenivano e, complessivamente, il resto dell'universo. Chiudeva nel suo interno l'universo e lasciava fuori Anarres, libera.
Osservato dall'altro lato, il muro chiudeva Anarres. Al suo interno c'era tutto il pianeta: un grande campo di prigionia, isolato dagli altri mondi e dagli altri uomini, in quarantena.

[Ursula K. Le Guin, 1974, I reietti dell'altro pianeta]